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Di educazione e “ideologia”

Da un po’ di tempo, nella tranquilla e piovosa Pisa stanno succedendo alcune cose strane: ad ottobre, un gruppo di bizzarr* signor* si è presentato in Piazza dei Cavalieri per vegliare in silenzio, ribadendo così a tutt* che la famiglia naturale, formata dall’unione tra uomo e donna, e ispirata a quella creata da un tale chiamato “Spirito Santo” e una tizia meglio nota come “Madonna”, è l’unica lecita a dimostrare amore verso un’altra persona. Successivamente, menti illuminate hanno pubblicato uno scambio di mail in cui viene attaccata la rete di Educare alle Differenze, recentemente creatasi in città. Contro l’EAD sono state presentate tesi “scientifiche” che dimostrano che i preservativi non proteggono dalle malattie (come la lobby gay ci fa credere da circa 40 anni); si è parlato addirittura di assemblee omosessuali, facendo quindi intendere che anche le assemblee, come dunque i negozi, le riunioni e qualunque altro aggregato umano, possano avere un orientamento sessuale definito e generalizzato. E non finisce qui: ad una conferenza sulla non pervenuta ideologia del gender svoltasi presso la Residenza Toniolo lo scorso 25 febbraio, è seguita la magica¹ calata dal nulla su Piazza dei Miracoli di uno striscione di 600 mq raffigurante un uomo ed una donna che si tengono per mano, con tanto di pargoletti a lato.

Il quadro generale, quindi, secondo quest* signor* (riunit* in vari movimenti ad associazioni) è il seguente: non solo l’Italia, ma il mondo intero, sono dominati da una cricca di omosessuali con manie di potere che cercano di negare il diritto all’esistenza delle modalità di relazione eterosessuali. Tale pericoloso obiettivo verrebbe portato avanti tramite l’imposizione di una ideologia di genere (soprattutto attraverso laboratori di educazione inclusiva nelle scuole) che afferma che tutti e tutte siamo uguali ed abbiamo lo stesso diritto all’esistenza – per l’appunto.

Bene, è il caso di fare chiarezza. L’enciclopedia Treccani definisce il termine “ideologia” come il complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale. Si tratta, dunque, di un concetto spesso imposto e volto a cambiare la realtà a proprio uso e consumo. La parola “educazione”, invece, deriva dal latino ex ducere, ovvero tirare fuori. L’educazione è un percorso che ci dà gli strumenti per conoscerci appieno e leggere la realtà in maniera critica e costruttiva. Comporta cambiamento, sì, ma non per noi stess*: si tratta di una cambiamento a favore di una società, almeno per come la intendiamo noi, più equa e inclusiva. Nel nostro caso, i percorsi di Educazione alle Differenze, che appoggiamo e cerchiamo di diffondere il più possibile, parlano di una realtà in cui le differenze che ci rendono unic* non sono più un pretesto per odiare, ma vengono riconosciute come valore aggiunto, che arricchisce l’intera comunità. Pertanto, educare alle differenze significa comprendere e rispettare chi ci circonda per ciò che è e vuole essere, nonché amare noi stess* per come siamo – al di là del nostro sesso biologico d’appartenenza, dell’orientamento sessuale, del colore della pelle, della diversa abilità, dell’origine etnica, del credo religioso. In tal senso, l’educazione alle differenze mira a combattere il fenomeno del bullismo (razzista/sessista/omofobico ecc.) che trova le radici in stereotipi e pregiudizi di ogni tipo: che siano di genere, di orientamento sessuale, di professione religiosa, di diversa abilità, di origine etnica.

Come Queersquilie!, ci rivolgiamo direttamente a voi, car* signor*, costantemente in pericolo per colpa di questa lobby malefica: smettetela di fare disinformazione; iniziate a conoscere davvero ciò che denunciate ed attaccate con tanto fervore. Provate a guardare al di là dei vostri pregiudizi. L’Educazione alle Differenze non è un’ideologia, ma un percorso da fare insieme verso l’accettazione di sé e dell’altr*; non è di stampo omosessuale (anche se, “sfortunatamente”, la difesa dei diritti degli/lle omosessuali ne è parte integrante), bensì combatte tutti i pretesti che spesso abbiamo per dividere e dividerci, invece che comprendere ed includere. Come mai vi sentite così minacciati? Perché diffondere così tanto odio? Ve lo diciamo chiaramente: non vi preoccupate. Disapproviamo nel nostro intimo, e con estrema fermezza, le vostre posizioni; in più, abbiamo coscientemente scelto di non aderire al vostro modo di pensare e di rapportarsi a chi non è della stessa opinione. Perciò, proseguiremo lavorando giorno per giorno per quello in cui crediamo: una società in cui ognun* sia liber* di amare, vestire, giocare, essere ciò che vuole e come vuole. Come diceva qualcuno che dovreste conoscere bene e che vi sta parecchio simpatico: chi sei tu che fai da giudice del tuo prossimo?²

Ah, un’ultima cosa: questo gran sforzo di eventi, conferenze, azioni plateali… Da cosa vi nasce? Di cosa avete paura? Forse a spaventarvi è un mondo in cui le differenze esistono, ma senza distanziarci gli uni dagli altri. Se così fosse concedeteci un finale ironico: pregate, pregate, le streghe son tornate!

Queersquilie! – Collettivo femminista queer

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¹ Non sapendo se qualche autorità abbia autorizzato il gesto, per ora ci piace pensare ad una “magica” apparizione.
² Giacomo, 4

Il giorno in cui ho incontrato Katie Piper

Era una normale giornata di lavoro a Selfridges in un tempo imprecisato tra il 2011 e il 2012. Nel solito mix di clienti indecisi, capi da piegare, telefonate e restocking da fare, la mattinata volgeva al termine. Aspettando impazientemente il mio lunch break, ingannavo il tempo chiacchierando con qualche collega e dando informazioni agli spaesati turisti-clienti in cerca di un’uscita, la toilette, boutiques e concessioni varie. Lavorare in un centro commerciale di Oxford Street (Londra) significa essere immersi in un brulicante divenire di facce, voci, stili, informazioni tali da creare una sovrastimolazione che porta ad un inevitabile automatismo nel gestire le interazioni con il mondo esterno.
Quella mattina, all’ennesimo “Excuse me?”, pervasa, appunto, da questo sentimento di insensibile automatismo, mi voltai svogliata, ma davanti a me non trovai la solita faccia sconosciuta. “Do you know where this brand is?”. Rimasi pietrificata. Letteralmente in preda al panico, come se fosse il 1996 e davanti a me ci fosse uno dei Backstreet  Boys. Mille pensieri che imperversano nella mia testa misti ad ammirazione, imbarazzo, stupore e l’unica cosa che riesco a dire è “It’s over there”, indicando il corridoio alla mia sinistra. Lei, Katie Piper, la donna il cui coraggio mi aveva incuriosito e appassionato tanto da farmi leggere e documentare sulla sua vita per mesi, mi ringrazia sorridente e sparisce nella folla.

Katie Piper, oggi è una donna di grande successo, attivista, scrittrice e presentatrice televisiva molto conosciuta. Ma la sua storia è passata alle cronache perché nel 2008 è stata vittima di un attacco con l’acido solforico ad opera di un uomo ingaggiato dal suo ex-fidanzato che l’ha lasciata sfigurata e le ha fatto perdere la vista da un occhio.

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Katie è una delle tante vittime delle orribili conseguenze che scaturiscono dalla spirale di violenza alimentata dall’idea di donna come oggetto, una proprietà ad uso e consumo dell’uomo. La pratica degli attacchi con l’acido è molto diffusa soprattutto nei paesi dell’Asia meridionale, Pakistan, Bangladesh, Cambogia, India, ma sono stati registrati casi anche in Etiopia, Uganda, Kenya e Sud Africa. Da qui nasce la terribile espressione “ragazze acidificate” per indicare donne rimaste sfigurate con l’acido ad opera dei loro partners, che porteranno i segni della violenza subita sul loro corpo per sempre. In Italia il caso più recente è quello di Lucia Annibali, avvocatessa di Urbino che è stata aggredita e sfigurata con l’acido da due uomini assoldati dall’ex-fidanzato; ad aprile dello scorso anno Lucia ha pubblicato la sua autobiografia dal titolo “Io ci sono”.

La storia di Katie mi ha colpito molto perché rappresenta un bellissimo esempio di coraggio e rivalsa personale che va al di là della violenza di genere e che innesca un dibattito più ampio su come le persone che per svariati motivi hanno un aspetto diverso da quello socialmente accettato, siano sistematicamente rifiutate e discriminate fino a diventare nuovamente vittime di violenza. In un discorso tenuto a una TED conference nel 2011 Katie racconta che durante il suo recupero le persone la trattavamo come se la sua vita fosse finita, anche se era solo il tuo aspetto ad essere stato danneggiato, non il suo cervello o le sue capacità.

“Quando sei bella le persone sono gentili con te: chi ti fa complimenti, chi ti lascia il posto in metropolitana, chi ti apre la porta. Dopo l’attacco invece le persone ti chiedono se sei contagiosa, escono dall’ascensore per evitare qualsiasi contatto, ti cacciano dai negozi; è come sentirsi imprigionati in un corpo che non ti appartiene.”

E’ proprio attraverso queste riflessioni che nel 2009 Katie ha deciso di fondare la Katie Piper Foundation, un’associazione caritatevole che aiuta le persone con cicatrici sfiguranti a sottoporsi a trattamenti specifici per migliorare la loro condizione, riunendo esperti da tutto il mondo per condividere le loro esperienze e conoscenze sulla gestione e sul trattamento delle cicatrici. L’obiettivo è anche quello di fornire un supporto morale che favorisca il benessere psicologico che renda più facile la vita di coloro che vivono con cicatrici sfiguranti e che per questo sono esteticamente diversi rispetto ai canoni socialmente predefiniti. Le storie di alcune delle persone che hanno cambiato la loro vita grazie alla KPF sono narrate nella serie di documentari prodotta da Channel 4  Katie: My Beautiful Friends.

my beautiful friends

Il giorno in cui ho incontrato Katie Piper, sebbene fossi già appassionata di questioni di genere, non ho avuto abbastanza coraggio per esprimere la mia ammirazione e ancora oggi ho il timore che la mia espressione esterrefatta la abbia in qualche modo infastidita. In realtà in quei momenti di panico pensavo proprio a quale onore fosse per me averla davanti e a quanto fosse bella, nonostante le cicatrici.

Ogni volta che mi torna in mente quell’episodio, mi sento ancora più fiera di far parte di un collettivo femminista, perché per quanto queste storie sembrino lontane dalla nostra vita quotidiana, di donne come Katie ce ne sono tante, anche nella quieta e benestante città di Pisa. Familiari, amiche, amiche di amiche o conoscenti abusate da mariti, amici, conoscenti, bravi ragazzi che “chi l’avrebbe mai detto”. La violenza di genere è un pensiero costante nella vita di ogni donna, perché se non ne si è vittime, si ha continuamente paura di esserlo. Per questo motivo la società tutta deve prendere atto che si tratta di un problema diffuso contro cui mettere in campo ogni mezzo e strategia, a partire proprio dai gruppi sociali più ristretti nei quali i comportamenti violenti si consolidano e si trasmettono.

Articolo scritto da:

authorbox celine

Ecco come tutto ebbe inizio…

Il 20 gennaio 2015, Queersquilie! ha compiuto il suo primo anno di vita. Un anno di crescita comune, eventi, laboratori ed autocoscienze che ci hanno portato grandi soddisfazioni.

Esattamente da lì, dalle autocoscienze, siamo nat* noi: eravamo innanzitutto un gruppo di amiche (a cui successivamente si è aggiunto qualche “maschietto”) accomunate da un forte interesse per le questioni di genere. In maniera informale, abbiamo passato più di un anno a riunirci la sera per scambiarci materiali e condividendo esperienze e riflessioni. anacletoMeravigliose serate a suon di musica, video postporno e considerazioni a partire dal nostro vissuto e dalla nostra quotidianità ci hanno accompagnat* ed aiutat* nell’autoformazione; finché alcun* di noi hanno avvertito la necessità di concretizzare queste riunioni in qualcosa che avesse un maggior impatto politico.

Il 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ci ritroviamo in piazza, volenterose di iniziare. Da lì, tutto succede velocemente: il concepimento del qollettivo, le basi politiche che gli vogliamo dare, cosa ci proponiamo di fare. Siamo in tant*, ma ancora senza una sede, un luogo, idee precise su come impostare il nostro lavoro futuro.

E’ ormai l’inizio di dicembre, quando alcune di noi – accompagnate da qualche bottiglia di vino rosso – iniziano a pensare a quali potrebbero essere nome e logo del qollettivo. Tra una risata e l’altra, buttiamo giù idee a non finire, invidiose del fatto che ci fossero già state menti geniali a pensare ad un nome come Le Ribellule*… Finché, ad un certo punto, un’immagine ci tuona chiara in testa: “Quisquilie e pinzillacchere!”. Anacleto, il vecchio gufo brontolone compagno di Mago Merlino ne “La spada nella roccia”, ci dà la soluzione! QUEERSQUILIE!, ragazze, Queersquilie!

In una società in cui le questioni di genere sono considerate argomenti di nessuna importanza – quisquilie insomma – noi rivendichiamo il termine, lo facciamo nostro e lo queeriziamo! A chi le considera semplici sciocchezze, noi mostriamo la nostra volontà di cambiamento, le nostre denunce, i corpi attraverso cui agiamo, le voci con cui gridiamo! E così, il 20 gennaio 2014, nasce ufficialmente Queersquilie! – Collettivo Femminista Queer.

A febbraio, si tiene la prima assemblea pubblica. Nemmeno il tempo di entusiasmarsi per la stesura del manifesto che – pouf! – Pisa si riempie di volantini che tuonano “Quello che le donne vogliono!”.

Tadaaan! Il terzo anno consecutivo di una kermesse, patrocinata da niente popò di meno che da comune e provincia, vede una stazione riconvertita ad uso pubblico riempirsi di stand dedicati “alla donna e alle sue passioni”: epilazione, abbronzatura, acconciature, trucco, massaggi, danza, shopping, cucito e, dulcis in fundo, “lezione di femminilità con tacco 12”; il tutto tra cartelloni pubblicitari di modelle senza cellulite, con pelle liscia e levigata e televisori che proiettano sfilate di modelle in costume da bagno. Insomma, l’ennesimo evento farcito di stereotipi a gogò sui desideri femminili!

Quella fu la prima occasione in cui uscire pubblicamente per opporci a quell’immagine avvilente e limitante della donna, coscienti che stavamo soltanto facendo valere quella preziosa legge 16 (di cui la Regione Toscana si è dotata dal 2009) contro gli stereotipi di genere. Fu così che scrivemmo comunicati, organizzammo un presidio e ci trovammo davanti alla stazione Leopolda con striscioni, immagini, slogan che offrivano spunti di riflessione. Nonostante per due giorni di fila siamo state additate come “le femministe che bruciano reggiseni e non si depilano” (e, anche se fosse, non vediamo che male ci sarebbe…), siamo riuscit* a confrontarci con le organizzatrici e con gli organizzatori, spiegando loro che definire certe passioni come caratterizzanti dell’essere donna è scoraggiante non solo per il sesso femminile, ma anche per quello maschile: ricondurre alcune attività ad un genere specifico limita le possibilità di ognun* di costruire la propria identità liberamente. Non sappiamo se realmente abbiano compreso quale fosse la questione, ma siamo coscienti che loro stess* sono vittime di quel sistema capitalista che strumentalizza tutte e tutti noi e che, pertanto, va combattuto.

Poco tempo dopo, organizziamo un seminario in università con Lorella Zanardo sull’educazione e l’immaginario di genere. Tutt* abbiamo visto Il corpo delle donne, siamo rimast* affascinat* ed al tempo stesso schifat* dal modello di donna propinato dai mass media. L’evento accoglie una sessantina di persone. Il dibattito è talmente avvincente e partecipato che solo il custode riesce a interromperlo per mandarci via a causa della chiusura del dipartimento. Questa è la prima volta che ci facciamo notare nella realtà che ci è più vicina: l’università.

Le autocoscienze e la formazione proseguono, finalmente ci prendiamo del tempo per noi, pensiamo ai temi da trattare attraverso conferenze, presentazioni di libri e cineforum. L’anno accademico è ormai quasi finito, quando apprendiamo di un programma televisivo intitolato “Come mi vorrei…”. La solfa è sempre la stessa: ragazze che si sentono inadeguate nella loro vita di tutti i giorni – chi per un motivo, chi per l’altro – vengono aiutate dalla strafiga del momento a cambiare sulla base di come la società le vorrebbe. Lanciamo una campagna locale in cui siamo noi, ragazze e ragazzi, a decidere come ci vorremmo sulla base delle nostre aspirazioni, non di quelle che ci vengono inculcate. Siamo stuf* di essere marionette a cui dire come doversi sentire, cosa dover provare e per chi. Ad ogni forma di eteronormatività ed oppressione imposta, contrapponiamo il nostro diritto all’autodeterminazione!

Nello stesso periodo, l’associazione romana di promozione sociale “Scosse”, portatrice del progetto La scuola fa la differenza, viene attaccata dalle destre cattoliche e omofobe; è la prima volta che sentiamo parlare della non meglio precisata ideologia del gender. Capiamo subito che dobbiamo sostenerle, promuovendo insieme a loro e a tanti altri gruppi l’evento “Educare alle differenze”, tenutosi a Roma il 20 ed il 21 settembre 2014.

Un ottimo inizio del nuovo anno accademico, che ci vede impegnat* su più fronti: portiamo avanti il percorso di Educare alle Differenze nel territorio pisano insieme ad una rete di collettivi ed associazioni, organizziamo un ciclo di cineforum sull’empowerment, riflettiamo sui femminismi nell’era postcoloniale, ci divertiamo e sperimentiamo con un laboratorio sui sex toys a cura di Maia Pedullà, prendiamo posizione contro la veglia delle cosiddette “sentinelle in piedi”…

Le cose da fare sono tante e le questioni da affrontare ancora di più. Gli stereotipi e le forme preconcette da decostruire sembrano non finire mai, eppure non ci diamo per vint*. “Crediamo che la visione dicotomica dei generi, prevalente nella nostra società, non corrisponda alla realtà. Crediamo fermamente nella possibilità di vivere la nostra identità sessuale senza essere costrett* a vestire un’etichetta. Intendiamo il modello queer come approccio teorico e metodo di lotta nella decostruzione della cultura dominante e eteronormativa per la co-costruzione di alternative non ghettizzanti. (…) Quindi… Continuare a sognare, vegliare, monitorare, divulgare, denunciare, lottare, cercare, muoversi, agire; insomma, continuare a pestare i piedi e a opporci su tutte quelle cose che una cultura patriarcale, sessista e eteronormativa vuole che siano, e che rimangano solo, QUISQUILIE”.**

Grazie a voi, che ci avete sostenut* ed incoraggiat* durante quest’anno di lotte quotidiane. Continuate a seguirci per scoprire tutte le sfumature della Q… Stay tuned, STAY QUEER!

Note:
*Collettivo Femminista di Roma, ndr.
**Dal nostro manifesto.

Articolo scritto da:
authorbox aurora

author box Geo