Verso lo SCIOPERO SOCIALE del 14 Novembre

Vere politiche redistributive possono essere solo quelle capaci di parlare di salario minimo europeo e di reddito di autodeterminazione, là dove i tassi di disparità salariale e di disuguaglianza nell’accesso al lavoro tra uomini e donne restano ancora oggi altissimi (a parità di qualifica una donna guadagna in media il 30% in meno dei propri colleghi). Un sostegno vero alla genitorialità dovrebbe affrontare il tema della riduzione dell’orario lavorativo e dell’incentivazione al part-time volontario, così da poter permettere un’effettiva conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Non si può poi prescindere dal rifinanziamento dei servizi per l’infanzia e da un’effettiva e immediata estensione dei sostegni alla maternità e alla paternità a tutte le figure lavorative, così come da politiche in grado di riconoscere forme di affettività non tradizionali, che sono ormai una maggioranza (la forma familiare tradizionale rappresenta oggi meno di una famiglia su tre). Il (residuo di) welfare familistico di questo paese estromette infatti tutte quelle soggettività – gay, lesbiche, trans, ma anche etero – che non rientrano (perché escluse o perché non vi si riconoscono) nella tipologia “contrattuale” del matrimonio.

dalla Strikers Declaration #04

A dispetto delle retoriche giovaniliste e donniste, le politiche messe in atto dal governo Renzi sono in perfetta continuità, e imprimono anzi un’accelerazione, al percorso di distruzione del welfare e degli strumenti a sostegno delle categorie meno tutelate. Tutte e tutti, come lavoratrici, studenti, precari, freelance, disoccupate e casalinghi, siamo colpiti e colpite dalla logica del Jobs Act, dalle molteplici iniziative di selvaggia autodistruzione portate avanti dal decreto Sblocca Italia – dalla devastazione ambientale agli ulteriori tagli all’istruzione – e dall’entrata dei privati nei luoghi della formazione. In una fase del sistema produttivo in cui a essere messe a valore sono non solo le competenze professionali, ma la vita stessa di ognuna/o, incluse le proprie potenzialità relazionali, non solo ci viene risposto con provvedimenti di redistribuzione misera, ma viene completamente misconosciuta la dinamica di sfruttamento continuo cui siamo sottoposte/i, dentro e fuori dal luogo di lavoro. Tempi di lavoro virtualmente illimitati e multipli, perché non tutte/i possono permettersi il lusso di avere un solo lavoro, e continuamente intrecciati con la fatica della quotidianità a sua volta messa a valore con un processo di espropriazione continua – dai metadati raccolti col traffico in rete allo sfruttamento delle relazioni personali per creare nuove opportunità di profitto al proprio datore di lavoro.

Per questo, i movimenti di tutta Italia hanno lanciato per il 14 novembre una giornata di sciopero sociale – lo sciopero di tutte e tutti coloro che, di fatto, sono espropriate/i anche del loro diritto a scioperare, per via di contratti a termine, intermittenza, ricattabilità sul posto di lavoro, assenza di un contratto di lavoro. Incrociamo le braccia per pretendere un salario minimo europeo che ci valorizzi sui posti di lavoro e riconosca le nostre competenze. Scioperiamo per la stabilizzazione dei precari e delle precarie e per il riconoscimento di forme di tutela nel lavoro intermittente, per la retribuzione di tutti i tipi di lavoro, per un rilancio degli investimenti pubblici ed una tutela dei beni comuni.

Come collettivo femminista queer, Queersquilie! aderisce allo sciopero sociale come sciopero dei generi. Siamo spesso costrette/i a impersonare una particolare identità di genere sul posto di lavoro (per chi un lavoro, magari nemmeno pagato, può dire di averlo!) a seconda delle pretese di una società fondata su una dicotomia che contrappone donne a uomini, omosessuali a eterosessuali, che di volta in volta, in differenti contesti lavorativi, prescrive come ci si debba comportare “da donne”, “da uomini”, “da lesciche”, “da froci”, così da poter meglio sfruttare le potenzialità sprigionate da modi specifici di declinare l’immagine di sé. Anche il genere è a tutt’oggi un mezzo di produzione e riproduzione sociale: ne è un esempio una divisione del lavoro che vede una femminilizzazione di alcuni ambiti lavorativi (il cui valore sociale è spesso non riconosciuto), a fronte di una massiccia presenza maschile anche in altri, con un forte sbilanciamente, ancora oggi, del lavoro di cura affettiva e domestica sulle spalle delle donne.

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